jueves, agosto 31, 2006

bla bla e bla

lunes, julio 24, 2006


La Paz - 24/07/2006 - Ore 19.24
Quando vi ho detto che il cielo sopra La Paz e' davvero blu, ancora non avevo visto il blu del lago Titicaca. Cazzo quanto e' blu. E quanto e' favoloso il lago piu' alto del mondo, nel senso che sembra l'ambientazione di una favola. Sulle sue sponde vive una popolazione esclusivamente nativa, gente per la quale la suddivisione dei giorni in ore o settimane non ha alcun senso. Tutto e' silenzio e pace e cieli tersi e venti freddi. Tutto si muove al rallentatore, i 4000 metri non permettono l'esistenza della fretta. Siamo giunti a Isla del Sol (che deve il suo nome alla leggenda Inca secondo la quale sua maesta' il sole ha scelto questo piccolo fazzoletto di terra come luogo natale (e vi posso assicurare che se fossi il sole confermerei la scelta...)) percorrendo una decina di km a piedi attraversando scenari, appunto, fiabeschi, fatti di case di fango e abitati da bimbi dalla pelle bruciata e relativi genitori con la pelle ancora piu' bruciata ma coperta in gran parte da abiti multicolore e rispettive pecore, lama e maiali. Quattro o cinque km in camion, uno dei rari mezzi che solcano quella strada ci ha fatto accomodare nel cassone posteriore in compagnia di 5 donne che portavano a casa qualche decina di chili di foglie per farci chissache'. Gli ultimi due km in barca, una bimba dagli occhi troppo dolci non ci ha lasciato altra scelta che scegliere suo papa' come barcarolo. Infine l'ultima mezz'ora di camminata, quasi una scalata, con i polmoni che bruciano ma con alle spalle le cime innevate della Cordillera Real a picco sul lago e di fronte a noi il cielo lilla che accompagna il tramonto. L'isola regala visioni stupefacenti del lago, una popolazione che e' la definizione vivente di "gente amichevole", freddo, caldo, qualche spiaggia, mentre la stessa isola evita scrupolosamente di elargire asfalto, auto, ossigeno, rumore. E poi le stelle. Milioni di milioni per davvero. Unica fonte di inquinamento luminoso presente le nostre sigarette, la via lattea si rivela essere davvero una sorta di strada che mi piace pensare mi porti alle persone piu' importanti che ho e che sono cosi' lontane.

Dopo 66 giorni di convivenza, qualche migliaio di km percorsi, oltre 1000 sigarette, un paio di litigate, tante risate e una quantita' di esperienze condivise da riempire un paio di enciclopedie, domani Stefan entrera' a far parte dell'album dei ricordi. Ore 8.50 volo La Paz-Caracas, ove trovero' un amico da sempre. Mi manchera' questo rastone dall accento tedesco perennemente in un altro mondo. Grandi promesse di un altro viaggio insieme, speriamo non siano le solite banalita' che si dicono negli addii.

Dunque dopo 14265 km percorsi, tre mesi e mezzo, 272 ore tra bus, navi, camion, auto, aerei, tre paesi, troppe foto, molti momenti di down, ma tantissimi di leggerezza, una marea di cagate scritte sul presente blog, un infezione intestinale, qualche centinaio di punture di insetti vari ed eventuali, quasi tutti i climi riportati su un libro di geografia e altrettanti ambienti, 6 libri letti, una nuova lingua quasi imparata, due tentativi di furto subito e fortunatamente falliti, decine di indirizzi e mail di persone piu' o meno importanti, una quantita' di ricordi senza precedenti, qualche migliaio di domande poste a me stesso e qualche risposta data, finisce la mia esperienza piu' o meno solitaria. Forse sarebbe il caso di stendere una sorta di rapporto su cio' che ho ricevuto da questa esperienza. Ma se ho fatto bene il mio lavoro di blogger, forse, tale resoconto puo' essere letto tra le righe. Di sicuro io lo leggo.
I Diari dell'Autobus si chiudono qui. Non so bene perche' ma sento che e' meglio cosi. Entonces...
Hasta Torino

viernes, julio 21, 2006


La Paz - 21/07/2006 - Ore 19.14 Dopo aver dimostrato a mestesso le pessime condizioni fisiche in cui mi trovo, ho deciso che
era arrivato il momento di fare dello sport. Dunque ieri ore 6.45 sveglia, colazione e
partenza per quel di La Cumbre nient'altro che un piccolo ammasso di case di lamiera; ma
tale localita' e' anche il punto di partenza di quella che, dopo estenuanti testa a testa
con varie strade di mezzo mondo, viene riconosciuta come la strada piu' pericolosa del
mondo. L'ambito riconoscimento e' dovuto in parte al numero di persone che mensilmente ci
lasciano le penne, e in parte al fatto che il numero dei sopravvissuti a un incidente e'
pari a 0 (zero), in quanto gli sfortunati protagonisti di un sinistro precipitano per le
diverse centinaia di metri che separano la strada dal fondo della valle. E ciononostante La
Paz dipende da questa via in quanto unico collegamento con le fertili terre dello Yungas
dove cresce cio' di cui gli abitanti della capitale vivono. In ogni caso io mi sono recato
ai 4700 metri di La Cumbre per fare dello sport; dunque bicicletta e giu' in picchiata per 4
ore, 3500 metri di dislivello, 83 km. Una figata. 99% di discesa, 99% della quale
fottutissima discesa. Meta' della strada asfaltata, l'altra meta' no; come siamo arrivati
alla fine lo potete vedere dalla foto, peccato non si veda la metamorfosi dei miei pantaloni
da blu a color sabbia. Quando non si e' impegnati a cercare di non lasciarci le penne per
l'arrivo di un autista di camion ubriaco, o per una strettoia proprio nel punto dove la
strada decide di curvare di 120 gradi, si puo' ammirare un panorama senza precedenti. (Ri)
guardatevi "I diari della motocicletta", lo scenario, i camion carichi di persone, la
strada, sono proprio quelli. Lungo il cammino si incontrano gli uomini/donne semaforo.
Armati di un cartello rosso e di uno verde sono coloro che cercano di salvare la vita a chi
quella strada la deve percorrere magari ogni giorno, appostandosi nei pressi degli angoli
piu' ciechi e segnalando l'arrivo di un altro mezzo. A quanto pare questi semafori viventi
sono i parenti di vittime della "strada della morte" che decidono di dedicare la loro vita
ad aiutare il destino a risparmiare ad altri le loro sofferenze. Ovviamente gratis. Passano
mesi, forse anni, forse tutta la vita, a correre da una parte all'altra di un angolo buio e
segnalare eventuali pericoli. Gli autisti cedono loro un po' di cibo o una moneta. Ora, io
non so se questa storia sia vera oppure no, ma se' lo e', e' la storia piu' romantica che
abbia mai sentito.
Hasta Titicaca

miércoles, julio 19, 2006


La Paz - 19/07/2006 - Ore 18.32
Gia' mi immagino le bestemmie che usciranno dalla mia bocca quando dovro' lasciare la Bolivia. Nel bus tra Santa Cruz e La Pace la compagnia gestrice del servizio ha regalato ai suoi clienti l'emozione di uno stupendo film con Jackie Chan e il socio suo di cui non mi ricordo mai il nome (i film di Jackie Chan sono i piu' popolari negli autobus sudamericani...). Ebbene il socio di Jackie era il classico playboy che ogni nuova donna che incontra dice che e' l'amore della sua vita. Ecco un po' mi sento cosi', ma vi giuro che della Bolivia mi ci sono davvero innamorato. Dopo la giornata shopping di ieri in cui sono stato salvato solo dal fatto che ho finito i soldi e non avevo il bancomat dietro, oggi giornata in taxi. Drew (Gringo original, temporaneo compagno di viaggio dai tempi di Santa Cruz...) Stefan (il solito scioppino) ed io alla buon ora delle 13 ovvero quando siamo riusciti a compiere le estenuanti attivita' di sveglia, indugio a fianco della doccia con acqua fredda e pronuncia della usuale bugia "magari domani..." e colazione, dicevo alla buon ora delle 13 decidiamo per un taxi direzione Valle della Luna. Si ferma al nostro cenno quello che si rivelera' essere Marco. Questi ci conduce lungo la spina dorsale della citta', ovvero la grande arteria che percorre il fondo della vallata in cui e' cresciuta La Paz, fino a lasciarci quest'ultima alle spalle. Il paesaggio diventa improvvisamente montano, ma montano di brutto. Il cielo e' sempre del colore dell'ultimo post ovvero blu, ma blu di brutto. La strada che sale decisa verso il nostro destino ci culla come farebbe un martello pneumatico. Valle della Luna. Marco il Saggio decide di aspettare all'uscita la sua gallina dalle uova ripiene di dollari mentre la suddetta gallina si inoltra in questo strano paesaggio giallo. Rocce appuntite che sembrano voler mantenere la loro individualita' spuntano da ogni dove, ogni tanto uno strano cactus e all'improvviso, una figura con tanto di poncho e flauto, dall'alto di una delle rocce, intona una melodia per tutti i presenti, ovvero le tre gallinelle di cui sopra, qualche insetto e le onnipresenti rocce (e forse un altro turista ma non siamo sicuri). Da piangere. Marco il Conduttore decide poi che dobbiamo vedere la citta' dall'alto. E che per fare cio' dobbiamo percorrere la strada che passa dal piccolo villaggio dove e' nato. Varie domande: perche' qualcuno, centinaia di anni fa, ha deciso di fermarsi qui a fondare il suo villaggio, a 4000 metri e fuori da ogni dove? Credo che la risposta sia molto semplice: perche' e' stupendo. Il cielo sembra schiacciare la terra e questa sembra spalmarsi all'infinito regalando una sensazione appunto di infinito. Probabilmente inutile cercare le parole o loe foto per portarvi del tutto qua con me.La Paz dall'alto e' semplicemente incommentabile. I vulcani la circondano e sembrano proteggerla con la loro maestosa potenza. Il cielo sembra essere ancora piu' vicino. Il silenzio fa si che si veda il delirio di suoni che e' La Paz senza sentirlo. Un bimbo appare alle nostre spalle mostrandoci la macchinina di legno che lui stesso ha costruito. Il vento ci secca le labbra e gela le mani. Un maiale decide che e' giunta l'ora della sua passeggiata quotidiana. E La Paz sta sempre la'. Bellissima.
Hasta La Pace siempre

martes, julio 18, 2006


La Paz - 18/07/2006 - Ore 13.00
Non potete capire che pace provochi arrivare a La Paz. Per due motivi: il primo e' che ho finito di passare le mie giornate sui pulman, l 'ultima delle quali a una temperatura prossima allo zero in quanto il bus che da Santa Cruz scavalla le Ande toccando e superando i 4000 metri non aveva il riscaldamento. Il secondo motivo e' un misto tra l'effetto placebo di arrivare in una citta' chiamata La Pace e il fatto che davvero ieri la capitale piu' alta del mondo era meravigliosamente silenziosa, causa vacanza nazionale. Il cielo e' blu, e intendo blu per davvero, l'aria rarefatta ti trascina in una sorta di vagabondaggio per le vie in saliscendi di questa citta' ove tutto e' mercato, quindi colore, urla, odori. I discendenti dei nativi americani superano con grande stacco i creoli secondi classificati, mentre i bianchi quasi non si vedono, o meglio si vedono solamente nelle pubblicita' o nei locali dove mangiare ti costa 5 dollari invece dei canonici 50-60 cents. Camminare é faticoso, le salite non la smettono di salire nemmeno quando i tuoi polmoni nungnafannochiu, gli edifici sgarrupati predominano ma talvolta cedono il passo a un moderno palazzo vetrato o una bella mansione coloniale che pare nuova di pacco. La citta' e' infossata in una conca (credo un ex vulcano...) sulla parete interne della quale brulicano casette color sabbia che senza sosta, intendo senza sosta per davvero, discendono fino alla base dove e' adagiato il centro storico e non. La vista di queste distese di case tutte ammassate lascia senza fiato. Insomma respirare e' proprio un casino. Le numerose "insalate" di foglie di coca aiutano ma bisogna ricordarsi di fare una pausa ogni tanto se non non si mangia piú. Ho deciso che mi daro' allo shopping violento, comprerei qualsiasi colore che i tanti indios propongono per le strade, perche' davvero tutto e' mercato. Non indugio oltre dunque e vado a far valere la mia ricchezza europea.
Hasta siempre
P.s. Ho anche aggiunto la foto al post precedente, per correttezza... in versione marine...

sábado, julio 15, 2006


Santa Cruz, Bolivia - 15/07/2006 - Ore 18.24
Io gli avevo chiesto un taglio sobrio. Me li tagli piu´o meno tutti uguali, lasciandomeli lunghi circa un centimetro abbondante. Lui pareva aver capito. Prima mossa del parrucchiere, prendere un ampolla di simil argento ripiena di uno strano composto alcolico e dotata di spruzzino e avvicinargli un accendino. Accensione del medesimo, pressione dello spruzzino gommato e fiammata del tutto simile a quella che fuoriesce quando annoiati ragazzi di citta´giocano all allegro piromane avvicinando una fiamma al deodorante spray. Obiettivo della fiammata pettine e forbici, sterilizzazione completa. Mi distraggo un attimo e lui, l'allegro barbiere, a tradimento, tira fuori línfernale macchinetta rovinacapigliature e con un colpo deciso rade la parte centrale della mia nuca. Altezza del capello: 3 (tre) millimetri. Per farla breve esco dal "salone di bellezza" con il solito piglio da sopravvissuto a Mauthausen o da giovane marine appena arruolato, a seconda dell umore.
Ma ho fatto dell'altro oltre a farmi deturpare. Mi sono deciso ad andare dal medico. Che sembra una cosa facile: chiami la tua compagnia assicuratrice, loro ti dicono dove andare, ci vai, amen. No. Chiamo la Europe Assistance e il giovane co.co.co. che mi risponde non vuole sapere ne dove mi trovo ne che problema ho. Vuole solo il mio numero di telefono. Glielo do e cio' a come conseguenza una chiamata, mezz'ora piu' tardi, di una antipatica signorina il cui succo del messaggio e' "veda lei se proprio e' il caso di andare dal medico ci vada, io la spesa gliela autorizzo, pero' veda lei". Ma brutta automa sistema dipendente, schiava di un capo che non hai mai visto. Ma che minchia te ne frega se il tuo multimiliardario padrone deve sbrosare 30 dollari per la mia fottutissima visita medica. Saluto educatamente dopo che mi e' stato detto che loro medici in Bolivia non ne conoscono, quindi posso andare dove mi pare. Internet, sito dell'ambasciata italiana in Bolivia. Sicuramente ci sara' una lista di medici raccomandati. Manco per il cazzo. Ma c'e' un numero di telefono, chiamo ma una dolce voce di segreteria telefonica mi ricorda che l'ambasciata di sabato e' chiusa. Per emergenze chiamare il numero...tuu tuu...pronto? "bla bla bla", "senta questa non e' un emergenza non possiamo aiutarla". Saluto educatamente. A questo punto gli yankee vengono in mio aiuto. Il sito dell'ambasciata statunitense, al contrario del nostro (vergognoso), puo' definirsi uno strumento per il cittadino all'estero. Lista di medici disponibile in 2 (due) click. Dottor Carlos Callau. Chiamo, prenoto una visita, c'e' posto dopo mezz'ora. La clinica del dottor Callau non e' in Sud America, stonerebbe anche in Europa tanto e' linda e cristallina. Le due segretarie sono da calendario. Alla parete una targa autografata da Juan Pablo II come riconoscimento della dedizione del dottor Callau alla medicina. E poi il dottore, davvero un grande uomo. Visita completa, pressione altezza peso riflessi temperatura interrogatorio tonsille reni articolazioni polmoni cuore. Responso: infezione intestinale, niente di grave ma urge una bella dose di antibiotici. Farmacia, internet, aggiornamento blog.
Hasta la panza sana

viernes, julio 07, 2006



Rio de Janeiro - 11/07/2006 - Ore 21.00
Campioni del mondo. Urlo di Grosso e lacrime del sottoscritto. I dieci francesi che hanno diviso le sofferenze con me fino a quel momento lasciano la stanza, due di loro mi stringono la mano. Ma io non riesco a credere che sia vero, senza retorica, semplicemente e' troppo bello quello che provo, difficile crederci davvero. Ma immagino che queste emozioni le capiate meglio di me. Dieci minuti di stordimento, una chiamata, stupenda, da Torino, il capitano alza la coppa, altre lacrime. Poi opto per la spiaggia. Siamo io e Stephan. E il mare. Il momento in cui mi sono sentito piu' solo della mia vita. La sensazione di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma intanto mi ripassa davanti agli occhi l'ultimo rigore, sorrido. Un sms, parole di festa e di delirio, di pazzia collettiva, di qualcosa che finalmente e' arrivato, qualcosa che mi immaginavo da quando ho iniziato a ragionare e l'ho clamorosamente mancato. Stephan me lo legge in faccia e se ne esce con la seguente frase:"darei tutto quello che ho per spedirti la in mezzo". Ma e' giusto cosi'. Ho sempre cercato di essere il piu' lontano possibile da casa, ho avuto l'enorme privilegio di riuscirci molte volte, ora ho dovuto pagare. Anche se e' un sentimento strano, lampi di nostalgia nel settimo cielo in cui mi trovo. Il mare non mi consiglia niente di nuovo, ma in conpenso la spiaggia inizia ad affollarsi di quella serie di guardinghi e sospettabili individui che si riversano a Copacabana la sera. Meglio levare le tende. Si torna a casa, i nostri coinquilini canadesi stanno ovviamente guardando la tv e rivedo le immagini. E ancora il giorno dopo e proprio non ce la faccio, ogni volta, a non ridere.


Rio mi ha ricordato Londra. Anche se e' una tesi difficile da sostenere visto che a Londra non ci sono palme, il sole e' una rarita', la gente non cammina in infradito, si da la precedenza alla birra piuttosto che alla caipirinha, i bus vengono condotti da gente con la patente e ogni volta che attraversi la strada non pensi che potrebbe essere l'ultima, la tecno predomina sulla samba, non c'e' il mare e nemmeno le spiagge, le siga costano 7 euro e non 1, le montagne si travano a debita distanza e non nel mezzo della citta', le periferie sono quartieri piuttosto all'inglese e non un dedalo di viuzze e scalinate dove regnano miseria e violenza, ronaldinho non e' l'eroe nazionale, i poliziotti fanno ridere e non paura e tutta una serie di altre differenze che paiono dimostrare che la prima frase di questo capoverso e' un immensa cagata. Pero' la gente davvero ricorda quella che si incontra a Londra, di cui gli inglesi con capelli rossi e lentiggini sono una minima parte. Camminando per il litorale di Copacabana, a fianco alla pista ciclabile, sul pavimento psichedelico proprio appresso alla spiaggia, si incrociano gli sguardi di un miscuglio di razze, religioni, culture, classi sociali, classi economiche, gusti, sguardi che quasi sembrano darmi ragione. Il ritmo e' frenetico, non c'e' nulla di fermo, tutti sembrano in costante ritardo, mi piace pensare che siano in ritardo per andare a giustarsi lo stupendo tramonto di praia Ipanema. E' una citta' dove i grattacieli non stonano, nemmeno quando si appoggiano a una piccola e rosa chiesetta coloniale; dove le favelas si distendono sulle mille colline, a volte montagne, che senza ragione apparente spuntano qua e la in ogni parte della citta', e sono in salita queste masse di case mai terminate e ben separate dal resto della citta', in salita quasi a ricordare che se vi nasci ne dovrai salire di scale per uscirne...ma mi piace pensare che dall'alto delle loro piccole baracche di lamiera sorvolate da decine di aquiloni, la vista sia mozzafiato e l'aria piu' pura; dove la gente affolla le spiagge di martedi'; dove i neri giocano a calcio con la palla di pezza e i bianchi con quella del mondiale; dove vedi un cadavere con la testa spappolata da una pallottola di fronte alla centralissima e postmoderna cattedrale centrale (mmm..dubito che il mondo sara mai tanto moderno...); dove il numero di persone tatuate e' superiore al numero di persone che portano le scarpe; dove gli spacciatori parlano 4 lingue; dove i locali notturni competono e in molti casi stravincono la sfida con quelli europei; dove i prezzi dei biglietti dello stadio rendono il calcio uno sport ancora del popolo; dove la scuola clacio del Flamenco si allena sulla spiaggia, accanto a centinaia di altri fanatici di qualsiasi tipo di sport; e' insomma una citta' coerente nell'immenso delirio che e', tutto sembra stato messo al suo posto, per rappresentare una delle mille anime della citta',da quell'enorme signore con le braccia aperte che dall'alto dei suoi 800 metri si fa vedere in ogni angolo della citta. Rio davvero una meraviglia. Ma e' tempo di andare.
Hasta Bolivia