viernes, julio 07, 2006



Rio de Janeiro - 11/07/2006 - Ore 21.00
Campioni del mondo. Urlo di Grosso e lacrime del sottoscritto. I dieci francesi che hanno diviso le sofferenze con me fino a quel momento lasciano la stanza, due di loro mi stringono la mano. Ma io non riesco a credere che sia vero, senza retorica, semplicemente e' troppo bello quello che provo, difficile crederci davvero. Ma immagino che queste emozioni le capiate meglio di me. Dieci minuti di stordimento, una chiamata, stupenda, da Torino, il capitano alza la coppa, altre lacrime. Poi opto per la spiaggia. Siamo io e Stephan. E il mare. Il momento in cui mi sono sentito piu' solo della mia vita. La sensazione di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma intanto mi ripassa davanti agli occhi l'ultimo rigore, sorrido. Un sms, parole di festa e di delirio, di pazzia collettiva, di qualcosa che finalmente e' arrivato, qualcosa che mi immaginavo da quando ho iniziato a ragionare e l'ho clamorosamente mancato. Stephan me lo legge in faccia e se ne esce con la seguente frase:"darei tutto quello che ho per spedirti la in mezzo". Ma e' giusto cosi'. Ho sempre cercato di essere il piu' lontano possibile da casa, ho avuto l'enorme privilegio di riuscirci molte volte, ora ho dovuto pagare. Anche se e' un sentimento strano, lampi di nostalgia nel settimo cielo in cui mi trovo. Il mare non mi consiglia niente di nuovo, ma in conpenso la spiaggia inizia ad affollarsi di quella serie di guardinghi e sospettabili individui che si riversano a Copacabana la sera. Meglio levare le tende. Si torna a casa, i nostri coinquilini canadesi stanno ovviamente guardando la tv e rivedo le immagini. E ancora il giorno dopo e proprio non ce la faccio, ogni volta, a non ridere.


Rio mi ha ricordato Londra. Anche se e' una tesi difficile da sostenere visto che a Londra non ci sono palme, il sole e' una rarita', la gente non cammina in infradito, si da la precedenza alla birra piuttosto che alla caipirinha, i bus vengono condotti da gente con la patente e ogni volta che attraversi la strada non pensi che potrebbe essere l'ultima, la tecno predomina sulla samba, non c'e' il mare e nemmeno le spiagge, le siga costano 7 euro e non 1, le montagne si travano a debita distanza e non nel mezzo della citta', le periferie sono quartieri piuttosto all'inglese e non un dedalo di viuzze e scalinate dove regnano miseria e violenza, ronaldinho non e' l'eroe nazionale, i poliziotti fanno ridere e non paura e tutta una serie di altre differenze che paiono dimostrare che la prima frase di questo capoverso e' un immensa cagata. Pero' la gente davvero ricorda quella che si incontra a Londra, di cui gli inglesi con capelli rossi e lentiggini sono una minima parte. Camminando per il litorale di Copacabana, a fianco alla pista ciclabile, sul pavimento psichedelico proprio appresso alla spiaggia, si incrociano gli sguardi di un miscuglio di razze, religioni, culture, classi sociali, classi economiche, gusti, sguardi che quasi sembrano darmi ragione. Il ritmo e' frenetico, non c'e' nulla di fermo, tutti sembrano in costante ritardo, mi piace pensare che siano in ritardo per andare a giustarsi lo stupendo tramonto di praia Ipanema. E' una citta' dove i grattacieli non stonano, nemmeno quando si appoggiano a una piccola e rosa chiesetta coloniale; dove le favelas si distendono sulle mille colline, a volte montagne, che senza ragione apparente spuntano qua e la in ogni parte della citta', e sono in salita queste masse di case mai terminate e ben separate dal resto della citta', in salita quasi a ricordare che se vi nasci ne dovrai salire di scale per uscirne...ma mi piace pensare che dall'alto delle loro piccole baracche di lamiera sorvolate da decine di aquiloni, la vista sia mozzafiato e l'aria piu' pura; dove la gente affolla le spiagge di martedi'; dove i neri giocano a calcio con la palla di pezza e i bianchi con quella del mondiale; dove vedi un cadavere con la testa spappolata da una pallottola di fronte alla centralissima e postmoderna cattedrale centrale (mmm..dubito che il mondo sara mai tanto moderno...); dove il numero di persone tatuate e' superiore al numero di persone che portano le scarpe; dove gli spacciatori parlano 4 lingue; dove i locali notturni competono e in molti casi stravincono la sfida con quelli europei; dove i prezzi dei biglietti dello stadio rendono il calcio uno sport ancora del popolo; dove la scuola clacio del Flamenco si allena sulla spiaggia, accanto a centinaia di altri fanatici di qualsiasi tipo di sport; e' insomma una citta' coerente nell'immenso delirio che e', tutto sembra stato messo al suo posto, per rappresentare una delle mille anime della citta',da quell'enorme signore con le braccia aperte che dall'alto dei suoi 800 metri si fa vedere in ogni angolo della citta. Rio davvero una meraviglia. Ma e' tempo di andare.
Hasta Bolivia

1 Comments:

At 10:30 a. m., Blogger theTraveller said...

Immagino il delirio...altrettanto orgoglioso...e a proposito un grazie al genio che ha scritto il secondo commento del post precedente...stupendo...
Programma dei prossimi giorni:oggi 20 ore di bus, domani altre 7, poi dopodomani 21 ore di treno...e finalmente saro' in Bolivia...sti cazzi...
Abbracci a tutti

 

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